IL NONNO MINO - COM'ERA
Il Nonno Mino era di carattere mite, molto determinato, positivo; nella vita come nel lavoro era pieno di buona volontà per fare bene tutto ciò in cui si impegnava; era molto tenace e sopportava senza lamentele sacrifici e sforzi inauditi; si adattava alle situazioni più disparate; era onesto, di parola e molto corretto nei rapporti con gli altri, disponibile ad aiutare chi fosse in difficoltà.
Si comportava con una naturale spontaneità e
schiettezza e non sopportava i formalismi.
Era discreto, riservato, non si buttava nelle
chiassate e non frequentava bar o feste varie, solo la Messa domenicale. Viveva la religione come una parte spirituale
e sostanziale della vita, tradotta in un modo di essere totalmente coerente con
il Vangelo di Gesù Cristo. Coltivava un
legame indissolubile con i suoi poveri Morti… li sentiva come fossero accanto a
lui, ricordandoli e pregandoli spesso. Non si occupava direttamente di
politica, però era attento agli avvenimenti della società avendo idee
socialiste. Era loquace con le persone
care, estroverso e di compagnia, però amava molto anche stare da solo… gli
piaceva riflettere sulla vita, sulla natura e le sue meraviglie… possiamo dire
che aveva concretezza e laboriosità legate ad un animo contemplativo.
Gli piacevano
la musica ed il canto ; era molto intonato e cantare in coro lo rendeva
felice; zufolava spesso e sapeva suonare
vari motivi con la spineta (armonica a bocca, la mitica “Bravi Alpini”) e con
l’ocarina (strumenti che gli avevano portato i suoi compagni di lavoro
dall’Abruzzo mentre erano nei cantieri in Val d’Aosta). Nelle sere d’inverno,
in cucina, spesso cantavamo le canzoni popolari e di guerra, poi ci suonava
brani che aveva imparato come Reginella campagnola, Chiesetta alpina, Piemontesina
bella…che erano le sue preferite, ed altre.
Amava molto tenere in ordine le sue cose
personali e della casa; sapeva lavare gli indumenti e rammendarli; riparava tanti oggetti personali, con cura,
in modo da farli durare il più possibile. Ogni cosa, grande o piccola che
fosse, aveva in sé un valore che non doveva essere trascurato…per questo
conservava e riciclava ogni bendidio: spaghi, bottoni, cinturini di orologi,
pezzi di pelle e stoffe…all’occorrenza tutto poteva essere utile per
aggiustare, ricostruire…
Diceva sempre di comperare poche cose ma di
buona qualità, anche se costavano di più, perché così sono belle e durano a
lungo. A Gomarolo, nell’armadio della
camera di sotto, ci sono ancora il suo cappotto di lana di prima qualità, a
lisca di pesce ed il cappello in feltro della festa…e sono davvero ancora
belli! Inoltre, le scarpe erano
un’altra sua passione: quelle della festa erano nere, di una pelle molto
fine…lui le teneva pulite e lucidate ogni domenica. Anche gli scarponi (che erano le calzature di
tutti i giorni) li teneva puliti e “ingrassati” con una cura quasi maniacale.
Mi aveva insegnato a pulire, impatinare e lucidare le scarpe di tutta la
famiglia, cosa che facevo dagli 8 -10
anni in poi da sola con impegno e scrupolo ogni lunedì mattina.
Aveva l’abitudine di fumare, con moderazione;
si faceva lui le sigarette usando il tabacco trinciato e le cartine.
A tavola ci insegnava a mangiare tutto quello
che ci dava la mamma, anche le briciole del pane, ed a pulire perfettamente il
piatto (e noi facevamo a gara a chi lo puliva meglio, anche con la
lingua!). Quando macinava il caffè, se
per sbaglio cadeva un chicco per terra, non era tranquillo finché non lo
trovava e raccoglieva (era prezioso anche quello!)
Era molto “sparagnin” e per questo qualche
volta la nonna Elena si lamentava perché a lei piaceva, ogni tanto, comperare
qualcosa di nuovo per la casa; ma
sapendo dei brontolamenti, prima di fare qualsiasi spesa ci pensava non una
volta sola. Ma alla fine lui la lasciava fare perché le voleva bene e piaceva
anche a lui avere tutte le cose utili e belle per la casa.
Una cosa importante e che sapeva fare bene e
volentieri era andare per legna nel bosco.
In autunno, al ritorno dai lavori stagionali, con lo zio Piero andavano
nel Buste e tagliavano un certo numero di piante per legna da ardere (faggi,
carpini…); per portarle a casa chiamavano il Gioani del Malo (che era suo
cugino) con il suo cavallo Nino ed il carretto grande. Poi con la sega a mano
tagliavano i tronchi della lunghezza delle “stele”, li dividevano con la
“menara” (la scure) ed il nonno, con il nostro aiuto, faceva “el stelaro”, con
una meticolosità incredibile, perché gli piaceva che fosse perfetto, con la
legna tutta ben allineata (lo zio Piero lo prendeva in giro a volte, per
scherzo: varda qua Mino, che ghe xè na stela fora de posto!! e poi ridevano).
Amava il bosco, e nel bosco il nonno Mino si
sentiva nel suo ambiente ideale; osservava ed ammirava ogni meraviglia della
natura: pietre, muschi, felci, cespugli, bacche, i grandi alberi che, quando
tagliava, gli mostravano tutta la loro storia nei cerchi del tronco; e poi i fiori, i frutti, gli uccelli, i
serpenti, gli insetti di ogni specie. In particolare conosceva molte specie di
uccelli, ne amava il canto e, di alcuni, ne sapeva riprodurre il verso
zufolando. Tante volte tornava dal bosco portando la pelle di muta dei serpenti
(soprattutto vipere) per farcela vedere; ci portava anche radici (come quella della liquirizia, per
esempio, che noi masticavamo per il suo dolce succo), frutti di stagione come
pere, mele, castagne, nocciole.
Raccoglieva anche pezzi di legno dalle forme strane, di fronte a cui
lasciava fantasticare la sua immaginazione.
Spesso ci raccontava delle meravigliose
distese di rododendri, genziane e numerose altre specie di fiori di alta
montagna dai bellissimi colori, che poteva ammirare quando si trovava lì con il
cantiere di lavoro.
In primavera invece, prima di partire per i
lavori, sempre insieme allo zio Piero, “sapponavano e tarassavano” gli orti per
piantare patate e fagioli, che poi avrebbe coltivato la nonna Elena con l’aiuto
del nonno Checo, finchè ha potuto.
Al nonno Mino piaceva tenere le galline e i
conigli. Da bambini ci mandava nei prati a raccogliere le “lengue de vaca” da
far mangiare ai conigli, che ne erano ghiotti.
Curava gli animali con una dedizione incredibile, era molto attento alle
loro necessità, a volte parlava con loro mentre curava la pulizia delle stie o dava da
mangiare; d’inverno, con le alte nevicate, alla mattina faceva la strada per le
galline, spalando la neve per un bel tratto dietro casa affinchè potessero
comunque uscire ed andare a beccare.
Non si può dire altrettanto delle mucche, per
le quali non aveva alcuna propensione, anzi… ne era quasi terrorizzato. Noi
pensiamo che possa avere avuto qualche brutta esperienza da piccolo, per
esempio una cornata, al punto da fargli temere questi animali. Tant’è vero che non
ha mai aiutato in stalla il nonno Checo, nonostante fra loro ci fosse una
rispettosa convivenza e una buona collaborazione in tutto.
Con la sua Maria andavano molto d’accordo; si aiutavano, ragionavano molto sulle cose e
decidevano insieme le scelte da fare.
Gli piaceva aiutarla in cucina…pelare le patate, pulire la verdura,
rompere noci e nocciole per fare il
croccante…e lei era molto contenta e faceva di tutto per preparare, quando
poteva, delle buone cosette. Lui era di
bocca buona, ma era felice quando lei preparava alla domenica la carne in umido
con la polenta (e la faceva buonissima), o le buone minestre di verdura, quando
avanzavano le uova i biscoti lunghi, le fritole e i grustuli de carnevale, la
torta col sangue del mas-cio!
LA SUA STORIA
Il Nonno Mino (Domenico Pezzin) era nato il 23 ottobre 1912 a Gomarolo di
Conco, provincia di Vicenza. Siamo quasi
certi che la casa di nascita sia quella segnata con la freccia sulla foto e che
si trova nella contrà Puvole, al centro della frazione di Gomarolo, dietro alla
chiesa (lì siamo nati anche noi due). Non siamo sicuri che alla sua nascita la
chiesetta fosse già stata costruita; prima infatti c’era un capitello
all’interno di un prato/orto di proprietà del bisnonno Piero (Nonno della Nonna
Elena) che decise di donarlo alla
Parrocchia proprio allo scopo di edificare la chiesa.
Il papà del nonno Mino era Pietro Pezzin,
detto Piero dela Siora (anche Sioreta), nato nel 18 ……… e morto nel 19………..a Gomarolo; apparteneva
al ramo Pezzin dei Jacomiti (lo stesso
della nonna Elena). La mamma era Rizzollo
Maria, detta Maria Cota, nata nel 18…..e morta nel 19…… a Gomarolo; apparteneva
alla Famiglia Rizzollo della contrà Jacomiti
(successivamente denominata
contrà Rizzoli).
Non sappiamo come il nonno Piero dela Sioreta
fosse venuto in proprietà della casa dei Puvole, ma quasi certamente a seguito
di spartizioni di eredità della Famiglia originale, abbastanza benestante. Una curiosità: il nonno Piero aveva il soprannome Sioreta
perché sua mamma, originaria della contrà Ursi
(che sta sulla strada tra Conco e Fontanelle) amava fare la signora (siora) cioè lavorare poco, vestirsi bene e
fare una vita agiata. Insomma, il
contrario di quello che era il normale andamento in quei tempi della vita in
generale e delle donne in particolare….vita di stenti e fatiche,privazioni,
sacrifici….
La famiglia del nonno Mino, nella sua
giovinezza, era composta da papà,
mamma,sorella Maria (di qualche anno più giovane) e una zia paterna, Teresa,
non sposata. Da notare che 4
fratellini (o sorelline, non lo sappiamo) erano morti subito dopo la
nascita. Lui era affezionatissimo a sua
sorella, che però, all’età di 16 anni, a causa di una malattia sconosciuta (dicevano disturbi legati all’età dello
sviluppo) è morta. Ciò gli causò uno dei
più grandi dolori della sua vita. Non
sappiamo se prima o dopo questo tristissimo evento, anche il papà morì per
malattia; era sempre stato di salute un
po’ cagionevole.
A questo punto, intorno ai 18 – 20 anni, il
nonno Mino è diventato l’uomo di casa, il capofamiglia, vivendo con mamma e
zia.
Nell’infanzia frequentò la scuola elementare
fino alla classe quarta, che ai tempi era un bel titolo! Già in tenera età aiutava molto in famiglia
per coltivare l’orto, procurare legna per l’inverno, allevare galline e conigli
ed aiutare in tutte le attività domestiche necessarie per mandare avanti la
famiglia. Era un bambino sano e vivace,
molto giudizioso ed incline alla laboriosità. Come tutti i bambini ogni tanto
si permetteva qualche gioco o svago in compagnia. Uno di questi, molto diffuso,
era quello di saltare sui rami delle piante tagliate e portate a casa dal
bosco, poi accatastate a terra pronte per fare legna; i bambini ci saltavano sopra dalla parte
della cima utilizzandoli come elastici per fare a gara a chi riusciva ad andare
più in alto…E’ capitato al nonno che gli scivolasse un piede e
cadere giù di peso battendo violentemente le sue “palline” sul tronco! Nel
raccontarcelo faceva ancora una certa faccia….come di dolore vivo…ed aggiungeva che noi due forse avevamo
rischiato di non nascere mai…
In quei tempi non c’erano redditi in famiglia,
perciò intorno ai 10 – 11 anni iniziò a lavorare.
Poiché la sua era una delle poche famiglie che
non aveva la stalla con le mucche, lui si prestava ad aiutare i contadini
vicini nei lavori agricoli in cambio del latte che serviva alla sua
famiglia. Ma ben presto, a 13 – 14
anni, riuscì a diventare aiutante del vecio Bonato, un possidente della
frazione che aveva l’attività di trasporto merci da e per la pianura
(Marostica, Bassano) con l’utilizzo di carretto e mulo; le merci erano soprattutto generi alimentari per
rifornire i negozi di Gomarolo, Fontanelle e Conco. Era un lavoro molto impegnativo e di
responsabilità, che presupponeva un rapporto di grande fiducia in lui da parte
del padrone. Ma questa fiducia fu certo
ben riposta, al punto che, dopo qualche
anno come garzone, il nonno Mino diventò carrettiere-conducente e potè svolgere da solo quel lavoro che gli
dava il reddito necessario per mantenere la sua famiglia. Lo fece per molti anni, sempre con grande
entusiasmo, considerata anche la sua forte passione per i cavalli ed i muli….!
Il fatto di essere figlio unico di madre
vedova gli aveva evitato di dover fare il servizio militare di leva a
vent’anni. Ma purtroppo non impedì di
essere chiamato alle armi quando l’Italia entrò in guerra, la seconda guerra
mondiale.
Già nel 1939 infatti dovette lasciare lavoro, mamma,
zia e (quasi) morosa (la nonna Elena) e partire per il fronte. Dapprima in Grecia e Albania fino al 1943;
poi fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Germania ad Hannover, dove
per due anni lavorò sotto le SS
rischiando ogni giorno la morte per fame, stenti, malattie, freddo ed
anche internamento nel lager, se avesse combinato qualche grave sgarro.LA GUERRA
Nel marzo 1939 viene richiamato alle armi a Bolzano presso il 232° Reggimento Fanteria, N. di matricola 21759, 4° Battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata. Essendo stato ammalato di pleurite negli anni precedenti, con ripetuti ricoveri all’ospedale militare di Bolzano, gli venne concesso un periodo di congedo di 12 mesi. Ma nel dicembre 1940 deve rientrare al Corpo e nel marzo 1941 partire per la campagna di guerra in Grecia-Albania; viene imbarcato a Bari e sbarco a Durazzo (Albania). Dell’imbarco, che lo aveva molto colpito ricordava il terrore dei muli quando venivano issati con le imbragature sulla nave e che si manifestava con abbondanti “scagassae” dall’alto… rideva ancora con amarezza mentre lo raccontava.
Lui ricordava in continuazione gli anni della
guerra e raccontava molto spesso fatti drammatici che più lo avevano colpito e
coinvolto; ne parlava spesso nelle sere
d’inverno quando, dopo cena, stavamo tutti insieme lì in cucina, anche il nonno
Checo e lo zio Piero.
Ci raccontava che la Grecia e l’Albania erano
terre meravigliose, con bellissima vegetazione, orti e limoneti ovunque, il
mare incantevole; la popolazione molto
spaventata, ma non più di tanto ostile quando loro soldati chiedevano qualche
aiuto. Gli sembrava impossibile dover
sparare, uccidere, rischiare la vita in posti così belli ed ospitali.
Quando si ammalò di malaria è stato terribilmente
male, con febbre altissima e deliri e, nei momenti di lucidità, era convinto
che non sarebbe più guarito…invece la scampò, e questo lo ha sempre ritenuto un
miracolo. Dopo la guarigione, una notte
ebbe un incubo. Sognò di una lunghissima
fila di lenzuola lavate e stese sui fili
ad asciugare al vento. Nel frattempo si
svegliò di soprassalto sentendosi levare le coperte dai piedi….ebbe subito un
triste presagio….qualcosa di grave, pensò, doveva essere accaduto a casa
sua. Difatti in quella notte morì la sua
adorata zia Teresa…
La paga che prendeva dall’esercito la mandava
quasi tutta a casa per mantenere la mamma che era rimasta sola e non poteva
fare granché per sopravvivere, salvo lavorare un po’ a cordela e tenere qualche
gallina per avere le uova da barattare
con latte e legna. Anche casa, orto e
bosco erano stati pignorati quando erano al lastrico dopo la sua partenza per
il fronte.
Un particolare drammatico che ricordava delle
battaglie era la mancanza di acqua da bere, la grande sete subita…sui campi
erano costretti a bere quella piovana che si raccoglieva nelle fossette
lasciate nel fango dagli zoccoli dei muli…
Lui pure aveva un mulo da condurre; insieme
dovevano garantire il trasporto di armi, munizioni ed anche viveri e generi di
varia necessità. Quante volte durante
gli spostamenti lungo zone impervie e fangose, sotto piogge e fredde nebbie, il
mulo si impuntava e non voleva più proseguire….riuscire a fargli cambiare idea
non era certo cosa facile, ma in qualche modo lui ci doveva riuscire.
LA PRIGIONIA
Nel settembre 1943 il nonno Mino fu catturato dai
tedeschi a Durazzo, fatto prigioniero e deportato in Germania con un viaggio
interminabile. I soldati furono fatti salire su treni con vagoni bestiame, dove
erano ammassati in condizioni a dir poco disumane. Il viaggio fu interminabile
perché il lento percorso toccò Iugoslavia, Bulgaria, Romania, Ucraina, Polonia,
Russia per arrivare infine in Germania.
Ad Hannover venne assegnato ai lavori forzati ed impiegato nella rimozione
di macerie e trasporti materiali vari.
I prigionieri
erano costantemente esposti ai bombardamenti che avvenivano di frequente sulla
città… Sia sul lavoro che nelle baracche-dormitorio erano trattati come
schiavi; poco cibo e cattivo, molto freddo, tante punizioni individuali ma
anche collettive se sgarravano. Se la
violazione fosse stata grave, i colpevoli venivano puniti con l’internamento
nei campi di concentramento e, diceva lui, quelli difficilmente tornavano
indietro.
Una volta, raccontava, due vennero internati e
soltanto uno ritornò dopo mesi, ma era la scheletro di se stesso. Erano stati puniti perché le guardie li
avevano sorpresi a prendere patate da un magazzino diroccato in cui la squadra
di prigionieri aveva l’incarico di sgomberare le macerie. Le guardie si
accorsero che i due andavano e venivano da questo magazzino, vollero sapere il
motivo e quando seppero delle patate sottratte li arrestarono immediatamente,
senza tener conto delle ragioni dei due poveri disgraziati che ripetevano loro
di aver preso le patate per fame….
Anche il nonno era andato nel magazzino
pensando di prendere qualche patata; ma prima ebbe necessità di fare “un
bisogno” dietro a un muro…la guardia, insospettita, volle fare un’ispezione per
vedere se era proprio vero che era andato dietro al magazzino per quel motivo
e, solo dopo aver visto personalmente il “corpo del reato” rimandò il nonno al
lavoro con una buona dose di insulti (ma in tedesco!).
Per sopperire alla necessità di mangiare
qualcosa oltre la “mensa”, egli aveva escogitato un sistema “legale”
(o quantomeno tollerato dagli aguzzini): preparava piccole fascinette di
legna, raccattata qua e là in città e le
offriva alle persone (in particolare donne anziane) in cambio di un pezzo di
pane o una patata. Questo riuscì a farlo
ripetutamente senza incorrere in punizioni.
Ai prigionieri era tassativamente vietato cercare avanzi di cibo (per
es. bucce di patate o resti di rape) nei rifiuti delle mense…la punizione
sarebbe stata comunque severa.
Nel dormitorio le condizioni erano
orribili. Presi da attacchi di
dissenteria, raccontava, una notte molti prigionieri dovettero andare nei cessi
e per questo facevano parecchio rumore con le suole in legno degli zoccoli. Le guardie dapprima intimarono di smetterla
dall’alzarsi dalle cuccette, poi li minacciarono di punizione, infine fecero
alzare tutti quelli della camerata e li costrinsero a rimanere in piedi fermi
per tutta la notte, al freddo di gennaio.
Naturalmente il giorno seguente dovettero lavorare come il solito ed
anche più intensamente per rimarcare la punizione.
In città lo avevano colpito la miriade di
manifesti che incitavano la popolazione a tenere comportamenti conformi al
regime. In particolare ne ricordava uno
che diceva: attenzione, il nemico ti
ascolta!! (naturalmente in tedesco).
Ad Hannover il nonno rimase fino all’aprile
1945, quando giunsero gli Alleati. Non
subito però ritornò a casa, ma solamente in settembre, passando da ospedali e
caserme varie, per subire controlli igienico-sanitari e ricevere cure ed
alimentazione adeguata. Nonostante tutto
ciò, quando arrivò a casa, sua mamma stentò a riconoscerlo….Per loro due fu
come una seconda nascita. Aveva 33 anni
quasi compiuti. Noi pensiamo che, soltanto per merito del suo organismo robusto
e sano, egli abbia potuto sopravvivere a cinque anni di vita così dura, oltre
naturalmente alla fortuna di essere scampato al fuoco delle armi.
LA FAMIGLIA
Ancora prima di partire per la guerra, il
nonno Mino aveva messo gli occhi sulla Maria del Checo Comare, una ragazza
della contrà Jacomiti, bella e prosperosa (come piacevano a lui),molto seria e
brava sia in casa che nei lavori agricoli, la prima di quattro sorelle e due
fratelli.
El ghe stava drio e desiderava molto
frequentarla per capire se potevano essere fatti l’una per l’altro. Ma purtroppo arrivò la “cartolina” della chiamata alle armi e così
dovettero salutarsi promettendosi il reciproco ricordo anche nella
lontananza. Avevano 27 anni lui e 26
lei. E così per cinque lunghi anni
il loro affetto fu tenuto alimentato dal pensiero costante, dalle lettere e
dalla speranza di potersi rivedere. Fu
così, alfine, che il Mino portò a casa la vita, salvata tante volte per
miracolo, e potè riabbracciare la donna che amava, ora sì ancora di più,
ritrovandola come un grande dono, un bene per lui prezioso. Era il settembre 1945.
I segni, anche, se non soprattutto, morali
delle devastanti esperienze subite, erano impressi per sempre come segni di
fuoco e non fu certo questa una cosa semplice da sopportare e superare. Ma lui aveva un carattere positivo,
coraggioso e reagì…
E’ vero che non trovò più la sua adorata zia
Teresa, ma il cielo volle che la mamma Maria fosse riuscita a sopravvivere agli
stenti di quel terribile periodo. E poi…ritrovò
la sua seconda Maria (nonna Elena), quella ragazza (che ormai aveva compiuto 32
anni!) adorabile, buona ed intelligente, laboriosa e paziente. Nel ritrovarsi, capirono subito di essere
fatti l’uno per l’altra e, senza altre esitazioni, si fecero fidanzati e
cominciarono a pensare al matrimonio, seppur poveri in canna!! Lui aveva compiuto 33 anni (uno più di lei)
e, per quei tempi, erano già un po’ in ritardo rispetto alle “normali” età
delle nozze. Comunque le famiglie erano
d’accordo e fortunatamente la casa era
nuovamente di sua proprietà in quanto, nel 1944, sua mamma l’aveva riscattata
dall’ipoteca con la somma di 3500 lire, risparmiate dalle paghe militari che
lui le inviava durante la guerra. Perciò
fissarono la data delle nozze, che avvennero il 23 novembre 1946, alle 6 di
mattina nella Chiesa Parrocchiale di Conco, con la presenza dei testimoni e dei
Genitori.
Subito dopo la cerimonia, gli sposi partirono
per Padova con la corriera, diretti alla Basilica di Sant’Antonio, dove si
fermarono fino al pomeriggio e rientrando a casa la sera stessa. Scelsero quella meta come viaggio di nozze
per devozione al Santo ed anche per ringraziare Dio della fortuna di essersi
ritrovati e poter pensare alla loro futura famiglia.
In quel periodo, subito dopo il rientro dalla
Germania, il nonno trovò da fare dei lavoretti per il Comune come la manutenzione strade o nell’edilizia;
ma era poca cosa…Purtroppo il lavoro di conducente non potè più esercitarlo
poiché il Bonato aveva dovuto rinunciare all’attività di trasporto merci. Così anche il nonno, come tantissimi altri giovani
di quei paesi, dovette adattarsi a cercare un lavoro via da casa e scelse
quello stagionale nelle regioni italiane del nord-ovest (escludendo
categoricamente di emigrare verso l’Australia o l’America, come tanti fecero in
quel periodo). Si iscrisse alle liste
di collocamento ed ebbe un posto presso un’impresa edile in Val d’Aosta,
insieme a qualche suo compagno della frazione.
Partirono infatti nei primi mesi del 1947, verso quelle destinazioni
lontane ed ignote…Nello zaino poche cose essenziali, qualche indumento e due
tre fette di polenta. Quel primo
viaggio lo fecero in camionstop, nel senso che trovarono in varie tappe dei
camionisti generosi che li facevano salire nel cassone…I giorni di viaggio
furono numerosi, le notti le trascorrevano chiedendo ospitalità per dormire nei
fienili di famiglie generose del paese
di sosta, brava gente che li accoglieva pur senza conoscerli (ma allora era così, la solidarietà stava
alla base della convivenza). E così, di
tappa in tappa, i nostri avventurosi viandanti riuscirono ad arrivare a
destinazione cantiere di lavoro, ovvero sulle montagne aostane. Arrivati al
cantiere, eccoli pronti alla vita dura e sacrifici inumani (ma almeno si era in pace..) sulle alte
montagne, fra pericoli di ogni genere, per la costruzione di gallerie, strade,
teleferiche ed abitazioni varie. Però la
contropartita era il salario garantito da mandare a casa per mantenere la
famiglia. Si, proprio la famiglia,
perché, oltre alla mamma e alla moglie, quando ritornò a casa ai primi di
novembre del 1947, fece giusto in tempo a vedere nascere il suo primo bambino,
anzi bambinone perché pesava tra i 4 e i 5 chili, il regalo che la sua Maria
gli aveva preparato e che battezzarono chiamandolo Piergiorgio (Piero come il
papà del Nonno e Giorgio perché era un nome che piaceva alla zia Suor Isetta,
sorella della nonna Elena!). La gioia
immensa nel diventare papà riscattò e lenì le indescrivibili angustie subite in
guerra e prigionia ed i sacrifici di un lavoro duro lontano da casa.
Andò subito per legna perché bisognava
scaldarla bene la casa quell’inverno, e così il legnaro ben presto fu bello ed
abbondante. Purtroppo doveva pagare per
tagliare le piante, in quanto anche il loro bosco, il Buste, era stato
pignorato durante la guerra; ed è per
questo che nel marzo 1948, appena messa da parte la somma necessaria, potè
procedere al tanto desiderato riscatto, al costo di 5000 lire. Questo gli permise, ogni autunno quando
tornava dai lavori, di tagliare tutta la buona legna che serviva per riscaldare
durante l’inverno e cucinare tutto l’anno con la fornela (allora mica c’era il gas!!).
Dopo due anni, e cioè nel dicembre 1949, ecco
un altro regalo della sua Maria , una bambina che chiamarono Maria Teresa
(Maria come la sorella morta a 16 anni e Teresa come la zia).
Ecco, la famiglia adesso era proprio una
realtà meravigliosa per lui, per loro, visto quanto l’avevano desiderata! Una grande soddisfazione ma, nel contempo,
anche un grande impegno nel cercare di non far mancare niente di quanto era
giusto e necessario.
Così ogni primavera c’è la sofferenza della
partenza, poiché il lavoro, purtroppo, seppur stagionale (l’inverno lo passava a casa prendendo
l’assegno di disoccupazione), era sempre lontano e della durata di 7 – 8 mesi consecutivi. Questa cosa gli pesava, gli costava
tantissima sofferenza morale…al punto che, più avanti negli anni (più o meno
quando noi bambini avevamo 5 -6 anni), aveva proposto alla nostra mamma di
trasferirsi tutti in Piemonte, dove gli era stato offerto un posto di lavoro in
una portineria, non so se di una fabbrica o di una villa. La nostra mamma non se l’è sentita di fare
questo passo, anche perché nel frattempo (1951) moriva sua mamma e così toccava
a lei seguire il suo papà che teneva ancora mucche e terra da lavorare.
Così il nonno Mino continuò per tanti anni a
lavorare lontano dalla sua famiglia.
Pensarono allora (1954) di andare ad abitare
nella casa del nonno Checo, che era più grande e c’era spazio per tutti; insieme
viveva anche lo zio Piero, fratello della nonna Elena, nei mesi in cui anche
lui tornava dai lavori stagionali, sempre in Val d’Aosta. Per lui, loro due
erano come un padre e un fratello.
Per noi, ma anche per il nonno naturalmente,
il giorno più bello dell’anno era quando tornava a casa dai lavori!! noi gli
andavamo incontro alla fermata della corriera…lo ricordiamo con la valigia
pesante e lo zaino pieno…ci portava a casa sempre i cioccolatini ferrero che
gli davano alla mensa operaia e che lui non mangiava mai per poterli portare a
noi bambini.
Era sempre molto magro, anche il viso
scarnito…ma dopo qualche giorno dall’arrivo, con un caldo bagno e la barba
fatta, cambiava aspetto……il volto diventava bello disteso, aveva voglia di
raccontarci tante cose (un po’ belle, un
po’ brutte) della sua vita, del suo
lavoro, dei suoi compagni meridionali (brute bestie, diceva, ma gran brave
persone!) con i quali andava molto d’accordo, si aiutavano e si volevano bene
. Gli piaceva farci ridere
raccontandoci barzellette e storielle scherzose, fatti strani che erano successi in giro per il mondo. E poi cantare e cantare, in coro alla
sera….era la sua passione, dopo le preghiere recitate tutti insieme.
Nel ………. i nostri genitori vendettero la casa
dei Puvole e nel 1959 comperarono dallo
zio Piero (che la aveva ereditata) la casa attuale; fecero dei lavori di
ristrutturazione ed acquistarono la loro camera da letto nuova, in noce, di cui
andavano orgogliosi per la qualità e l’estetica (è quella che ancora adesso si
trova nella camera di sopra). Ci
trasferimmo lì, proprio accanto alla casa del nonno Checo che doveva essere sistemata dallo zio Piero
per sposarsi.
Qualche anno dopo, nel 1963, acquistarono la
casa dei Caneve: ciò permetteva loro di avere spazio dietro casa per lavori
vari, per la legna,tenere le galline e pure una funzione di deposito –
ripostiglio.
Purtroppo però la salute del nonno, dopo gli
anni ’60, cominciò ad essere minata, così da riuscire sempre meno a sopportare
le fatiche dei lavori stagionali.
Dapprima il forte mal di schiena, successivamente l’artrosi all’anca
sinistra che gli causava, oltre a forti dolori, anche una impossibilità a camminare.
Tanto le cure farmacologiche come quelle
termali (andava ogni anno ad Abano terme per fare i fanghi) non servirono quasi più. Fu allora che, nel 1965, gli fu praticato
all’ospedale ortopedico di Mezzaselva (sopra Asiago) l’intervento di blocco
della articolazione dell’anca; questa cosa fu di beneficio per i dolori, ma gli
impediva di piegare la gamba e perciò di sedersi e camminare normalmente. Chiese ed ottenne la pensione di invalidità
nel 1966/67.
A questo punto potè finalmente ritirarsi nella
sua casa, in compagnia della sua Maria.
In quei pochi anni (’66 – ’69) poterono condividere pienamente la vita
di casa, coltivare l’orto (anche se con fatica per lui!), tenere le galline e
trascorrere insieme momenti di meritata
serenità.
Anche noi bambini, diventati ragazzi, stavamo
trovando la nostra strada; loro erano
molto orgogliosi di noi e, ad ogni nostro successo scolastico e lavorativo, ci
manifestavano enorme gioia e stima.
Con l’introito di Piergiorgio, che era andato
a lavorare in Germania, poterono sistemare la cucina con la piastrellatura ed
acquistare gli armadietti pensili, il
nuovo fornello a gas, la nuova stufa a legna e la televisione. Fecero costruire il bagno (tutti lavori fatti
dallo zio Piero con l’aiuto del nonno).
Ed avevano in mente di costruire una stanza accanto e collegata alla cucina,
per essere più comodi, più una cameretta sopra di essa.
Purtroppo però questo non potè mai
avvenire; un grosso guaio arrivò
inatteso a troncare le loro aspettative: lui si ammalò allo stomaco e,
nonostante un imponente intervento chirurgico e tanta voglia di vivere, la malattia
sconfisse il suo forte spirito combattivo, quello che guerra, prigionia, vita
dura e tanti sacrifici non avevano demolito.
All’età di 59 anni da poco compiuti, ci lasciò. Era il 25 novembre 1971.
Mentre l’autunno spogliava i boschi, i suoi
boschi che lui tanto amava, un colpo di vento staccò anche la sua tenace foglia
dal ramo della vita terrena
Grazie papà… sei sempre tra noi.
I tuoi figli Maria Teresa e Piergiorgio il 23 ottobre 2012